Mr. Livingston, I presume.

Un esercizio di esplorazione intermodale.

 

 In fotografia, il rapporto intermodale e' sempre esistito. Una immagine fotografica non e' mai fine a se stante, limitandosi al  modo percettivo visivo ma subito coinvolge anche altri modi e campi semantici (campi di significati), che vengono chiamati in causa dall'esperienza in atto (*).  Il secondo modo che viene  sempre  implicato e' quello verbale, con  il suo campo semantico.  Non e' di certo il solo.

 Anche se non "patetica", una  fotografia puo'  produrre emozioni (modo emotivo);  a volte potra' rievocare sapori (modo gustativo), forse anche rievocazioni tattili (modo tattile). Improbabili quelle sonore (modo acustico), perche' occorrerebbe lo scorrere del tempo. Nel celebre quadro di Munch, non sembra di sentire l'urlo, ma si e' perfettamente coscienti che ci dovrebbe essere un urlo, perche' piu'  indizi percettivi intermodali convergono in quella direzione.

 Le foto di questa mostra vorrebbero esplorare dei legami tra modo visivo e modo verbale, con l'uso deliberato di un ponte  tra questi due modi,  il suo titolo.  Nessuna novita': certi  titoli hanno sempre avuto questo scopo. Sono infatti dei "binari" che guidano un ampliamento della percezione visiva nella direzione di una apertura semantica verbale.

Se fotografo una rosa, e chiamo quella foto: Rosa, ho fatto di sicuro una  operazione intermodale visivo-verbale intenzionale, ma non ho ampliato il campo semantico. E' solo una  tautologia: la foto di una rosa rappresenta una rosa. Se invece, il titolo diventasse: Rosa fresca aulentissima..., tutto cambierebbe, perche' questo  e' il verso iniziale di una poesia di Cielo d'Alcamo, un rimatore tra i primi ad usare il volgare, cioe' quello che e' diventato poi l' italiano, in opposizione al latino, che era la lingua colta.  Il campo semantico della nostra foto  verrebbe dilatato in modo considerevole.

Come dovrebbero fare tutti i ponti, questo va in due direzioni, e anche la rosa fotografata acquisisce di conseguenza un alone visivo piu' "profondo", come se non fosse piu'  la medesima rosa, di quand'era chiamata solo: Rosa.

E' facile obiettare che in questa maniera solo chi ha certi riferimenti culturali e' in grado di fare questo tipo di operazione percettiva. Pero' in questo modo si rischia lo stesso discorso di quelli che di fronte a certi quadri di Picasso, o di Miro' affermano che anche loro o il loro figlio di 8 anni li saprebbero fare. Nel nostro caso, di fronte alla giustificazione di una ridotta cultura (non e' una colpa) non sapremmo cosa rispondere se non: Speriamo che la scelta dei soggetti piaccia lo stesso, senza aver bisogno di tener conto dei titoli.

 Pensiamo che l'apprezzamento della mostra  puo'  limitarsi anche ad una percezione  poco  piu'  che  visiva.   Se  poi  qualcuno  volesse  farne  una  lettura  dal punto di vista della tecnica fotografica, saremmo subito soccombenti perche' questo non ci ha mai interessato, al di la' del fare foto passabilmente corrette (**).Ci premeva, di volta in volta, solo il particolare soggetto e il suo potere evocativo.

Della mostra in se' si puo' notare che essa ha foto di oggetti e non di persone, anche se a questi soggetti per mezzo del titolo si attribuisce una specie di personificazione. I titoli sono stati scelti sulla base di meccanismi retorici come la similarita', la contiguita' e l'opposizione. Ne diamo tre letture. Se tre balle di fieno hanno per titolo "Conversation piece" e' perche' c'e' stato il ricordo di quel tipo di pittura settecentesca quasi solo inglese, i Conversation piece all'aperto, che sono ritratti informali di gruppo o di famiglia, ambientati nelle tenute di campagna degli aristocratici o dell'alta borghesia.

Trovare per una via di Reggio la luminaria di una stella cometa il 15 di agosto, ha quasi imposto il titolo di "Ferragosto 2001: Natale, quando viene viene" giostrando su un ricordo pubblicitario, ma anche sulla mercificazione di una festa tradizionale molto sentita, senza il pudore di nascondere l' intenzione commerciale. Passato il momento delle vendite natalizie, togliere la luinaria e' stato considerato, con tutta evidenza, un fastido inutile.

La balla di fieno solitaria ha per titolo il secondo elemento di un noto chiasma (figura retorica di similarita' fonetica e di opposizione grammaticale) in latino, un po' depressivo e misantropo. Quando si legge " ...sola beatitudo" si va con la memoria a "Beata solitudo, sola beatitudo", che non ha bisogno di traduzione.

Questi sono tre esempi di quanto abbiamo tentato di fare. La soluzione degli altri 22 la lasciamo ai visitatori, invitati ad un gioco un po' enigmistico, non sempre facile (***). Speriamo, comunque di essere riusciti a farci capire, con questo nostro esercizio di esplorazione della intermodalita' percettiva.

Renato Cocchi, neurologo e psicologo medico    

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(*) Credo che il dire che cio' e' dovuto a collegamenti tra aree cerebrali visive ed altre aree cerebrali sia solo una spiegazione neurofisiologica di scarso interesse specifico, in questa occasione , se non per il fatto che poi l'individuo si convince che questi legami, solo intracerebrali, sono invece inerenti alla realta' stessa.

(**) Abbiamo usato, come camere, una Exacta VX1000, con obbiettivo di base Tessar 2.8/50, e una Praktica BC1, con obbiettivo di base Pentacon 1.8/50.

 

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